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LiscaBianca su Interartive
2 feb
  • Lisca Bianca
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LiscaBianca su Interartive

Progetto LiscaBianca. In conversazione con Maurilio Catalano e Elio Lo Cascio

“(…) ma intanto, qui, il mare ha già ritrovato per sé un altro dominio dove le forme, le figure, lo spazio, la memoria, l’ordine stesso delle cose e degli eventi appaiono trasfigurati, assunti in cielo, sottratti alle minacce e perfino all’ovvietà del quotidiano, e in questo modo rimessi al mondo della percezione come miraggi”. Fulvio Abbate 1994.

Il mare di Maurilio Catalano, nelle sue forme fantastiche dai toni caldi e monocromatici, costellato da pesci, barche, fiocine e lampare, è un’attesa alla scoperta dell’ignoto che da sempre accompagna le aspirazioni dei grandi viaggiatori. Amante del mare non poteva che essere sensibile alla storia del primo giro del mondo dei coniugi Albeggiani di cui, negli anni ottanta, Catalano ha realizzato le illustrazioni degli articoli scritti da Savatteri pubblicati dal Giornale di Sicilia.

Lisca Bianca, un Carol Ketch costruito interamente da maestranze locali, è la storica imbarcazione che ha accompagnato Licia e Sergio Albeggiani nel loro viaggio epico e romantico di oltre trentamila miglia, iniziato il 23 settembre del 1984 e terminato quasi tre anni dopo. I due protagonisti di questa grandiosa e poco conosciuta esperienza più che sessantenni decisero di lasciare le comodità di una vita domestica per andare a vivere in barca spinti dalla voglia di navigare e curiosi di conoscere il mondo. Dopo la morte di Sergio, avvenuta nelle isole Canarie poco dopo l’inizio del loro secondo viaggio intorno al mondo, Lisca Bianca è ritornata a Palermo ed oggi si trova in gravi condizioni di deterioramento e abbandono. Il sociologo palermitano Elio Lo Cascio e il yacht design Francesco Belvisi si sono proposti di restaurare Lisca Bianca, insieme ai ragazzi del Istituto Penale Minorile di Palemo “Malaspina” e agli ospiti della comunità terapeutica Don Calabria. La proposta prevede la ristrutturazione dell’imbarcazione a scopi sociali e educativi e al contempo di tutela del patrimonio culturale della città.

Il pittore Maurilio Catalano e l’attore Luigi Lo Cascio sono solo due dei più importanti testimonial del progetto. Anche Interartive vuole partecipare promuovendo la comunicazione degli eventi correlati a LiscaBianca. Così abbiamo iniziato intervistando Maurilio Catalano, uno dei protagonisti di quella che può essere definita l’ “avanguardia artistica palermitana” degli anni ottanta e novanta e il sociologo Elio Lo Cascio.

Modesta Di Paola: Maurilio Catalano è figlio d’arte. Andiamo in dietro nel suo passato. Potrebbe individuare qualche momento della sua giovinezza che ha influenzato la sua attività di pittore?

Maurilio Catalano: Mio padre. Racconto sempre l’aneddoto di un avvenimento in cui mio padre avrebbe potuto uccidermi. Stava realizzando il quadro per la Biennale di Venezia (’52-’55), quando una mattina, stanco per aver lavorato tutta la notte, andò a dormire lasciando il suo studio incustodito. Entrai e trovai la tavolozza con i colori già pronti e stesi, che per me rappresentavano una magia, la magia dei colori. Mi sedetti e in modo spontaneo mi venne di aggiustare il quadro…

Anche mio fratello Elio, biologo marino e professore ordinario all’università, ha avuto un peso importante nella mia professione. Con lui realizzavo quelli che venivano chiamati objets trouvés, principalmente lattine e rami corrosi dal mare con cui facevano delle sculture nella spiaggia dello Sperone. La mia giornata tipo era giocare, realizzare sculture, andare alle mostre, all’Accademia e infine, qualche anno dopo anche in Galleria.

M.D.P: Catalano pittore. Lei si forma durante gli anni ’60. Può parlarmi di questo periodo?

M.C: Durante gli anni sessanta ho frequentato l’Accademia di Belle Arti. Ma mi sentivo un anomalo in quanto il direttore dell’Accademia, e professore di pittura, era mio padre. Allora mi divertivo a provocarlo, chiedendogli per esempio perché la combinazione tra rosso e blu crea il prugna e non il viola. Lui rideva. Ecco per me era un gioco. Ho sempre cercato di giocare nella mia vita, altrimenti sarebbe stata troppo triste.

M.D.P: Questo spirito è continuato quando lei ha aperto la Galleria Arte al Borgo?

M.C: La galleria nasce perché noi artisti palermitani eravamo solo sei. Un giorno ci chiedemmo chi mai avrebbe potuto vedere i nostri quadri e ci venne in mente di aprire uno spazio espositivo. Culturalmente ci aiutò Ubaldo Mirabelli, professore di Storia dell’Arte all’Accademia, sovraintendente del Teatro Massimo e giornalista del giornale di Sicilia (è stato il primo giornalista italiano a intervistare Konrad Adenauer fondatore della Comunità Europea insieme a Alcide De Gasperi).

M.D.P: Quindi la galleria nasce con lo scopo di auto-esporvi?

M.C: Si. Potevamo invitare la gente, chiedergli: “Vuoi vedere i miei lavori? Vieni in Galleria al Borgo”. Poi iniziarono le mostre che portarono Sciascia. Sciascia ci forniva il carbone. Ci dava cioè delle dritte per le mostre da organizzare. Allora arrivarono anche personaggi quali Edo Janich, Enrico Castellani, Mino Maccari, etc. Personaggi che grazie a Sciascia venivano periodicamente alla Galleria Arte al Borgo dove inauguravamo le loro mostre. Erano anche anni particolarmente fecondi da un punto di vista economico, la galleria vendeva bene.

M.D.P.: La Galleria sembra che abbia addirittura impulsato la cultura artistica palermitana.

M.C.: Si anche noi giovani imparavamo molto, assorbivamo grazie ai discorsi di questi grandi personaggi. Poi andai a Salisburgo con il mio amico Andrea Volo, per studiare litografia e arrivò un’altra grande passione nella mia vita.

M.D.P.: Che è successo dopo il grande periodo di fervore della galleria?

M.C.: Aprirono molte gallerie, apparirono artisti e furono istituite grandi Istituzioni finanziate per allestire mostre – molte delle quali erano di Guttuso – e aprì il Centro Federico II, luogo in cui ho allestito una mostra recentemente.

M.D.P.: Leonardo Sciascia ha scritto dei suoi lavori che tutto è trascrizione ironica, e consapevolmente ironica, a volte diretta, a volte rovesciata, della cultura popolare”. Molto spesso la sua arte è stata definita popolare e folkloristica; forse perché il tema ricorrente delle sue tele è il mare?

M.C.: Leonardo Sciascia ha capito che il mio modo di rappresentazione deriva dal mio amore per le pitture su vetro. Poi il mare è una presenza che occupa più della metà del mondo, infinito e affascinante. Io sono cresciuto in una casa davanti al mare. Da piccolo ho avuto un rapporto essenziale e diretto con il mare, usavo la barca, pescavo, mio fratello raccoglieva esemplari della fauna marina.

M.D.P.: Lei quindi assorbe e dipinge. Le sue esperienze hanno fatto del mare un punto di riferimento pittorico. Borges, che lei ha conosciuto personalmente grazie a Sciascia, ha scritto del mare: “Il mare è un antico idioma che non riesco a decifrare”…

M.C.: Ad un certo punto scende il vento di grecale o maestrale e allora iniziano a sollevarsi onde che fanno paura. Questo non si decifra del mare.

M.D.P.: Vorrei citare di nuovo Sciascia per introdurre una domanda: “Nella sua dimestichezza col mare, anche da pescatore, e appassionato per giunta, c’è un fondo di terrore. Il suo mare è popolato di enormi balene (bianche, ma incidentalmente: nessun riferimento a quella di Melville) che inghiottono pescherecci e navi di linea, di polipi mostruosi, di foreste di coralli sensibili e voraci come piante carnivore. Vi avviene anche l’eterno e proverbiale dramma del pesce piccolo mangiato dal grande; ma è cosa di poco conto, a confronto del vivamaria che succede a bordo di una nave quando un polipo la incatena o i coralli se l’abbracciano o una balena se la crocchia come biscotto.” (Sciascia. Palermo, 13 Aprile 1972). C’è qualche elemento di violenza nella sua rappresentazione pittorica, forse inerente a qualche esperienza visiva che le ricorda le mattanze.

M.C.: Forse. Ho visto la mattanza tramite i canti raccolti dall’antropologa Elsa Guggino, che ha pubblicato un libro di tradizioni popolari siciliane. La seconda volta sono andato con amici, ma l’esperienza non era piacevole. La tradizione del tonno accompagnata dalle sue poesie è finita.

M.D.P.: Sciascia ha definito le sue opere “fiabe ecologiche”. Forse per questo si è mostrato interessato a partecipare al Progetto LiscaBianca, che in fondo è una fiaba moderna sul viaggio e la relazione d’eccellenza con il mare?

M.C.: Non per togliere importanza al progetto di Sergio e Licia, ma credo sia molto più emozionante il Progetto LiscaBianca promosso da Elio e Francesco. Far rivivere una cosa che è stata condannata a morte è un gran progetto. Riportare Lisca Bianca alla navigazione, a incrociare delfini, balene e squali è una nobile causa, soprattutto se la passione del mare può essere trasmessa ai giovani in difficoltà.

Il quadro che ho realizzato per il progetto è un riconoscimento all’avventura storica degli Albeggiani ma anche al Progetto LiscaBianca e al suo valore sociale e pedagogico.

M.D.P.: Grazie Maurilio.

Elio puoi parlarci del valore sociale e culturale del Progetto che stai promuovendo?

Elio Lo Cascio: Il progetto vuol essere un luogo di scambio, conoscenze ed esperienze che potrà rafforzare il senso di appartenenza dei giovani coinvolti al contesto che abitano e farli promotori del proprio sviluppo. Il recupero della propria identità d’altronde crea coesione sociale e rende la comunità che abitiamo il perno dello sviluppo dei territori.

Restaurare Lisca Bianca ma anche recuperare questo “bene invisibile” costituito dal sapere dei Mastri d’ascia può rappresentare un volano per riaffermare la cultura locale ed i suoi manufatti, altrimenti dimenticati. Si tratta di ri-tessere un legame tra persone e luoghi, tra memoria e presente, tra competenze e produttività, tra narrazioni e voglia di dare futuro a questo patrimonio, anche nelle sue avvenute trasformazioni.

M.D.P.: Il Progetto ha un alto valore pedagogico…

E.L.C.: Si. L’intervento educativo proposto, vuole contribuire al cambiamento e allo sviluppo di questi giovani mettendoli in connessione con le risorse culturali, sociali ed ambientali del contesto in cui vivono. L’esito finale sarà il riconoscersi nel patrimonio culturale ed artistico in cui viviamo e nel recupero non passivo della memoria collettiva.

M.D.P.: Grazie Elio.



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